Una nuova realtà - Diario di Hirosaki
Sempre più studenti della SDS di Ragusa partecipano al progetto Erasmus o ad altri Programmi di mobilità internazionale. Pubblichiamo qui il racconto dell’esperienza di Aurelia Ribaudo, studentessa del Corso di laurea magistrale in Scienze linguistiche per l’intercultura e la formazione, che col suo “diario di viaggio” presenta il Programma di mobilità internazionale presso l’Università di Hirosaki, in Giappone.
Il ricordo vivido delle emozioni nel momento in cui ho scoperto che in un futuro quasi imminente avrei messo piede nella nazione che sognavo di visitare sin da quando ero piccola, mi accompagna ancora oggi ogni qualvolta ripenso al mio percorso in Giappone. Paura, attesa, speranza, nostalgia, soddisfazione. Per quanto contrastanti, mi hanno affiancata durante tutta la permanenza all’estero.
Hirosaki è una bellissima e tradizionale città nel nord della nazione, in provincia di Aomori – prefettura più nevosa al mondo. A me assolutamente sconosciuta fino a qualche mese prima della partenza, adesso ho invece la fortuna di averla vissuta da residente e di conoscerne segreti e scorciatoie tra le vie. Ho potuto infatti vivere l’esperienza di un semestre accademico presso la Hirosaki University (弘前大学) e non potrei essere più grata alla me del passato per aver preso questa decisione. Campus universitario straordinariamente efficiente, caratterizzato da cura ed attenzione nei riguardi dello studente, specialmente quello internazionale. I professori sono altamente qualificati e il personale disponibile e aperto ad ogni tipo di segnalazione. E le tante attività formative e turistiche organizzate hanno ampliato la visione di noi studenti sulla vita presente e passata di Hirosaki, offrendoci un’esperienza ancora più inclusiva.
La mia routine in Giappone si è presto infittita di lezioni e impegni accademici, e cercavo di colmare il tempo libero sulla mia agenda dedicandomi allo studio per progetti personali e alla socializzazione con gli altri studenti in università. Un luogo estremamente interessante e costruttivo all'interno del Campus, sempre popolato da studenti, era la cosiddetta “English Lounge”, una stanza in cui si promuove l'utilizzo della lingua inglese, radunando studenti di più nazionalità possibili e creare quindi una zona di confronto e scoperta continua.
In Giappone sono poi famosi i Circles o Clubs, ossia delle attività extracurricolari estremamente gettonate dagli studenti, solitamente tenute in orari pomeridiani per non intaccare gli impegni universitari. Le possibilità di scelta erano molte e variavano da corsi di calligrafia a lezioni di sport, agonistico e non, da seminari di letteratura ad incontri di volontariato in ospedale... e molto altro. Insomma, una volta adottato il ritmo di vita incalzante della società giapponese, ho cercato anche io di trarre il più possibile dalla mia esperienza, sapendo di avere solo 6 mesi a disposizione. E nei giorni liberi, ad esempio nel weekend, c'era sempre qualche nuova località da esplorare o qualche particolare festival dove potere trascorrere una piacevole giornata.
Tra le cose che ho preferito durante il mio soggiorno in Giappone, proprio i festival organizzati nel Parco del Castello di Hirosaki, così diversi ma in fondo così simili alle tipiche sagre dei paesi qui in Italia. Le attività svolte in occasione dei festival erano inclusive e divertenti, con focus su cultura e tradizione del luogo e il cibo venduto tra i sentieri del parco era buono e fresco proprio come ci si aspetta che sia a vederlo dai film Giapponesi.
La frenesia della pienezza delle mie giornate, ha fatto sì che la lontananza da casa si sentisse meno. Con orari assolutamente incompatibili, i momenti per parlare con la mia famiglia erano pochi e con una differenza di orario dall’Italia di ben 8 ore, l’unica domanda che potevo pormi sulla loro vita per la maggior parte della mia giornata era "chissà cosa stanno sognando in questo momento".
In fondo, qualcosa a cui inevitabilmente si fa fatica ad abituarsi è proprio il silenzio e il freddo di una casa vissuta solo da una persona: te stesso.
Tutto, di questa esperienza, per me è stato costruttivo: a partire dal lungo viaggio in solitaria e finire banalmente con la spesa serale al rientro dalle lezioni, portando con me buste cariche camminando per decine di minuti nel silenzio della neve fitta.
Una cosa che ho imparato sicuramente è che ogni cosa che lì mi sembrava un ostacolo insormontabile, oggi, guardando indietro, è rimasto un simpatico aneddoto che mi ha in fondo permesso di vivere l’esperienza a 360 gradi. Sono stati ostacoli funzionali, che mi hanno aiutata a guardare con praticità alla quotidianità e mi hanno fornito la capacità di gestire in autonomia i comuni problemi di ogni giorno.
Se c’è qualcosa che mi sento di dire a chi sta in bilico tra un sì e un no nella decisione per la partenza, dico “parti”. Tenta, non demordere, vai fieramente avanti fino alla fine; andrà bene. Tornerai a casa, in ogni caso, più grande di prima. Grande di maturità e grande di conoscenze, accademiche e non. Il tuo bagaglio di vita si sarà espanso e per fortuna non potrai tornare indietro. Se non altro, potrai sicuramente dirti fiero di te stesso, perché quella di partire e lasciare indietro tutta la propria vita, anche solo per qualche mese, è una scelta coraggiosa e non tutti sono in grado di farla. E soprattutto, come me, sii grato perché te ne è stata data l’opportunità dal sistema e la possibilità da chi ti sostiene.
L’esperienza di studi all’estero è unica nella vita, perché per quanto si possa migrare a piacimento una volta adulti, non si sarà mai una seconda volta giovani adulti studenti inseriti in contesti interculturali altamente stimolanti dove all’ordine del giorno si scoprono nuove realtà che, anche inconsciamente, segnano il proprio percorso.
L’università apre le porte del futuro ad ogni studente, ma allo studente che fa un’esperienza internazionale spalanca le porte del mondo.
Aurelia Ribaudo